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domenica 28 dicembre 2014

Mandela

Fu un riflesso a svegliarlo: lame di giallo nella cortina scura del sonno. Aprì gli occhi di scatto. Fuori, un muro nero rendeva il vetro uno specchio e Jimbo vide se stesso: occhi secchi, bocca umida. Portò la mano sul collo bagnato. La maglietta era zuppa di sudore e di bava.
Cos'era stato?


Un lampo, un altro, un altro ancora. Tre esplosioni di luce negli occhi. Li serrò con un lamento che si perse nel chiasso del treno e scattò in piedi, battendo la testa al portabagagli. Tump!
Cosa diavolo era stato?
Fu allora che la vide, nel posto di fronte. Una donna. Addormentata. Sulle ginocchia, stringeva un cofanetto; una scatola di trucchi, ecco cos'era, col coperchio di specchio. Era stato quello a svegliarlo.
Jimbo aspettò che il respiro tornasse normale; poi, allungò una mano verso il cofanetto ma non fece in tempo a raggiungerlo che le dita della donna si irrigidirono ad artiglio. Lui balzò indietro, battendo la testa nello stesso punto di prima. Tump!
«Cosa vuoi?» urlò lei, portando una mano al medaglione di latta che le pendeva dal collo.
«Volevo solo... » Jimbo guardò il finestrino, poi lei, «lo specchietto», disse indicando la scatola, «mi accecava, volevo solo... spostarlo».
La donna, rimase a fissarlo. Jimbo tornò a sedere massaggiandosi la testa. Lei guardò il cofanetto, poi guardò Jimbo e il cerchietto di luce che gli danzava sul viso. Portò una mano alla bocca «Scusa» squittì, «non avevo capito» e nascose la scatola nella borsa di pezza che teneva di fianco. Poi gli tese la mano «Mi chiamo Momy», disse. E questo fu tutto.

Il giorno seguente, Jimbo entrò nel vagone per primo. Corse allo stesso sedile e mise la borsa su quello di fronte ringhiando a chiunque volesse occuparlo. Cercò fra la ressa. Non la vide.
Il treno partì.
Dopo un'ora, tolse la borsa e nel posto di fronte sedette un anziano. Fuori, era buio e il finestrino, uno specchio. Jimbo vide se stesso: occhi umidi, bocca secca. Portò una mano sul collo ben asciugato. La maglietta era fresca, cambiata da poco.
Per fortuna era stanco e il sonno venne a salvarlo: un imbuto si chiuse sul chiasso e lo avvolse in un nero di pece; nero come la sua pelle, come quella di Momy; nero come il fondo della miniera.
Ma il sollievo durò solo un secondo. Aprì gli occhi di scatto. Momy era lì, nel posto di fronte, con il suo cofanetto che lanciava riflessi.
«Ciao» disse lui con la voce impastata.
Lei non rispose. Era diversa, sembrava... arrabbiata. La sua bocca era tesa, piegata in un ghigno. Con tre dita, stringeva un batuffolo. Lo strofinava sul viso con gesti veloci, calcando la mano. Si sentiva un raschiare di carta vetrata. Sulla fronte, la pelle cominciava a sfaldarsi in riccioli neri che cadevano a terra senza rumore, come la neve.
«Smettila!» disse Jimbo «ti stai rovinando».
«Non importa» urlò lei, aumentando la forza, «devo togliermi questa stupida pelle da dosso». La voce era aspra, gracchiante, Jimbo stentò a riconoscerla.
«Smettila o attirerai l'attenzione».
Il raschiare cessò e il batuffolo rimase a mezz'aria. «L'attenzione?» Gli occhi di Momy si chiusero e il ghigno divenne risata. «L'attenzione di chi?» disse poi sollevando le spalle.
In quell'attimo, Jimbo si accorse che c'era silenzio; che in quel treno non c'era nessuno e che la luce era opaca, ovattata.
«Dovevi portarmi via subito» sibilò Momy puntandogli l'indice contro, «e invece hai aspettato».
Jimbo stava per dire qualcosa, se non fosse che il treno cominciò a sussultare e lui fu sballottato in avanti, poi indietro; e poi ancora di lato e in avanti più forte, sempre più forte...
Aprì gli occhi di scatto. Un anziano lo stava scuotendo «Siamo arrivati» diceva, «dobbiamo scendere, andiamo».

Il giorno seguente, sul treno, al solito posto trovò un'altra donna. «Ti aspettavo» esordì «ho un messaggio da parte di Momy». Dalla borsa, estrasse un medaglione di latta «Prendilo, è tuo» gli disse cedendogli il posto. «Non aveva nessuno. Le piacevi. Ti avrebbe sposato».
La donna andò via e il treno partì. Fuori, era buio e il finestrino, uno specchio. Jimbo vide se stesso: occhi stretti, in bocca una linea decisa. Portò una mano sul collo sudato. Pulsava. La maglietta era zuppa di rabbia. Nel vagone, il chiasso era strano: sommesso, guardingo. Parlavano tutti di un incidente, non sentì pronunciare "assassinio" nemmeno una volta. Jimbo guardò il medaglione, poi guardò i negri parlare di un incidente. E allora capì. Il riflesso lo aveva svegliato.
Quando scese dal treno, fu per l'ultima volta. Masticava una sola parola: Mandela. Era quella la strada.

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