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mercoledì 31 dicembre 2014

La Messa




Facevo il bagno, tiravo le scarpe a lucido e indossavo i pantaloni nuovi, la domenica. Poi, andavo a ripulirmi l'anima nel confessionale e dopo tre ave Maria e un Padre nostro ero pronto per andare a messa.
Noi dell'azione cattolica dovevamo dare l'esempio, perciò prendevamo posto in silenzio e cantavamo, col tono sommesso degli umili, le canzoni provate per tutta la settimana. Sempre le stesse.
All'epoca, se eri un ragazzino e preferivi la compagnia alla solitudine, cantavi in chiesa perché questo passava il convento; e andavi a messa perché non era concepita alternativa.
Non che fosse poi così male. Però, tutti quei riti, quelle parole ripetute a pappagallo, quei gesti scaramantici mi annoiavano a morte e certo avrei preferito guardare un film con gli amici o ascoltare la musica o anche solo chiacchierare, piuttosto. Invece, da buon soldatino, andavo a tempo con gli altri recitando nel vuoto frasi inutili e lontane.
Quando sei poco più che un bambino, devi fare ciò che ti dicono, anche se non ne comprendi il significato. La cosa buffa però era che insieme a me, a chinare la testa a comando, c'era anche il sindaco, il farmacista, il medico, l'avvocato, senza alcun imbarazzo. Tutti con la stessa, identica faccia contrita che spariva all'istante, non appena il prete pronunciava la frase liberatoria: "La messa è finita. Andate in pace".
Ricordo che quando, in seguito, appresi il significato della parola ipocrisia pensai a loro. D'istinto. Prima ancora di rendermi conto che l'intera funzione non era altro che un monumento a quella parola.
Oggi, il gregge di pecore illustri si è ridotto un pochino e ogni volta che penso a quei giorni mi scappa un sorriso.

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